Federico Fellini

 

Il padre proveniva da Gambettola e faceva il commerciante di alimentari, la madre era una casalinga.

Il giovane Federico Fellini non crebbe in una famiglia di artisti, ma già dal liceo classico di Rimini, sua città natale, manifestò la sua inclinazione di caricaturista, e capì che lo studio non faceva per lui.

Già prima di terminare la scuola,Fellini iniziò una collaborazione con giornali e riviste fra cui La Domenica del Corriere e il settimanale 420 come autore di vignette e brevi prose. Nel gennaio 1939, a neanche vent’anni, decise di trasferirsi a Roma, ufficialmente con il pretesto di frequentare la facoltà di Giurisprudenza, in realtà per perseguire l’intento di avviarsi alla professione di giornalista. Fu proprio nel fervido ambiente della capitale che il giovane Federico fece conoscenza con personaggi a quel tempo già noti, come Aldo FabriziErminio MacarioMarcello Marchesi e iniziò a frequentare il mondo della radio e dell’avanspettacolo.

Alla radio incontra, nel 1943, anche Giulietta Masina che sta interpretando il personaggio di Pallina, ideato dallo stesso Fellini, nella commedia Le avventure di Cico e Pallina: nell’ottobre di quell’anno i due si sposano.

Negli anni della guerra collaborò alle sceneggiature di una serie di titoli di buona qualità, fra i quali “Avanti c’è posto” e “Campo de’ fiori” di Mario Bonnard e “Chi l’ha visto?” di Goffredo Alessandrini, mentre subito dopo fu fra i protagonisti del neorealismo, sceneggiando alcune delle opere più importanti di quella scuola cinematografica: con Rossellini, ad esempio, scrisse i capolavori “Roma città aperta” e “Paisà”, con Germi “In nome della legge”, “Il cammino della speranza” e “La città si difende”; con Lattuada “Il delitto di Giovanni Episcopo”, “Senza pietà” e “Il mulino del Po”.

L’esordio di Fellini alla regia arrivò con “Luci del varietà” (1951), firmato insieme ad Alberto Lattuada che, dietro la storia di un gruppo di attori di avanspettacolo alla ricerca di espedienti per sopravvivere, disegna una metafora della condizione italiana del dopoguerra.

Con “I vitelloni“, invece, (siamo nel 1953), il nome di Federico Fellini varcò i confini nazionali e venne conosciuto all’estero. In questa pellicola, il regista ricorreva per la prima volta ai ricordi, all’adolescenza riminese e ai suoi personaggi stravaganti e patetici.

Con il 1956 arriva il primo Premio Oscar come Miglior Film Straniero (istituito per la prima volta in quell’edizione), per La strada, film ricco di poesia basato sul tenero ma anche turbolento rapporto fra due strampalati artisti di strada che percorrono l’Italia del dopoguerra.

Passa un solo anno e con Le notti di Cabiria vince nuovamente un Oscar.

Un altro riconoscimento giunge a Fellini nel 1960 con la Palma d’Oro ricevuta al Festival di Cannes per il film La dolce vita: la pellicola – che abbandonava gli schemi narrativi tradizionali – destò scalpore e polemiche specie negli ambienti cattolici perché, oltre a illustrare con una connotazione fortemente erotica, descriveva con  una certa decadenza morale (specialmente capitolina dell’epoca del boom prossimo venturo.

Il suo film più impegnato, ,(1963) gli varrà il terzo premio Oscar (assieme a quello di Piero Gherardi per i costumi). Ancor oggi è considerato uno dei più grandi momenti della storia del cinema, tanto da essere stato inserito dalla prestigiosa rivista inglese Sight & Sound al 9° posto nella top ten, delle più belle pellicole mai realizzate secondo i critici, e al 3° nella classifica stilata dai registi.

Amarcord” (1973), dove i protagonisti sono la città stessa ed i suoi personaggi grotteschi, segnò il ritorno, alla Rimini dell’adolescenza, quella Rimini che per Fellini è luogo della memoria, dell’iniziazione e del mito, e che ricorre da un capo all’altro della sua filmografia. La critica e il pubblico lo acclamarono con il quarto Oscar.

A questo film vivace seguirono altri successi destinati a lasciare il segno: “Il Casanova” (1976), “Prova d’orchestra” (1979), “La città delle donne” (1980) “E la nave va” e “Ginger e Fred” (1985).

L’ultimo film di Fellini è “La voce della Luna” (1990), tratto da “Il poema dei lunatici” di Ermanno Cavazzoni. Fellini torna in questo film, con i suoi pazzi, nella campagna ad ascoltare le sue voci, i suoi bisbigli… lontano dal clamore della città.

Nel 1993 ricevette il suo ultimo Oscar, il più importante, alla carriera.